Cecilia Strada non avrebbe mai pensato di accettare una candidatura alle elezioni europee se non fosse stato per un incontro fatto durante una missione di salvataggio di un gruppo di migranti nel Mediterraneo. «Mi sono candidata come indipendente perché stanca di mettere cerotti su fratture profonde – ha raccontato Strada – In uno degli ultimi salvataggi, un ragazzo, poco più che adolescente, mi ringraziò dicendomi che se lui non aveva scelta ed era costretto a tentare l’attraversata in mare su una barca fatta con quattro lamiere messe insieme per avere un futuro, io invece avevo scelto di essere lì con lui e non di starmene al caldo nella mia casa».

Il nome di Cecilia Strada è legato a quello di Emergency, la onlus che offre cure gratuite alle vittime delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà, dove ha lavorato per molti anni e di cui è stata presidente fino al 2017 per poi occuparsi della crisi umanitaria del Mediterraneo centrale, con attività culturali a terra e missioni di salvataggio in mare con ResQ. È intervenuta alla serata organizzata dalla Cgil di Varese alla Sala Montanari con Alessandro Zan, collegato da remoto da Mantova, entrambi candidati alle prossime elezioni europee nella circoscrizione nord-ovest.

Strada e Zan hanno risposto alle domande di alcuni giovani presenti  (Cecilia Santo, Carlo Dovico, Giorgio Maran, Andrea Cazzolaro, Gianmarco Vitali, Jacopo di Pierro, Lucilla Moro, Emanuele Cocolo e Jacopo Zaccarelli) sui temi portanti di questa campagna elettorale: dall’emigrazione al cambiamento climatico, dai nuovi assetti politici di Bruxelles alla difesa comune europea, dal salario minimo alla lotta alla precarietà, passando per il gap di genere e la costruzione di un welfare inclusivo. «La fine del mondo è un tema che fa paura – ha detto Cecilia Strada in apertura dell’incontro – e le destre soffiano sul fuoco della paura, trattando la povertà come se fosse una colpa sociale. Ma l’unica vera paura che dobbiamo avere riguarda la disuguaglianza che aumenta sempre di più. Durante il Covid ci dicevano che eravamo tutti sulla stessa barca, ma non era vero. Eravamo tutti nella stessa tempesta ma su barche diverse. Dobbiamo essere consapevoli che se perdiamo un diritto, a cascata rischiamo di perdere anche gli altri».

Una società di sommersi e salvati è, dunque, il rischio maggiore che si corre in questa Europa su cui soffiano i venti del sovranismo. «Una cosa è certa: l’Europa non è compiuta perché parla una sola voce. – ha sottolineato Zan -. Bisogna decostruire gli stereotipi di genere e cambiare il nostro sguardo sul mondo con azioni concrete. Dobbiamo lavorare affinché ci sia uno sguardo al femminile e sostituire un paradigma sociale ed economico che non funziona più. Bisogna intervenire sulla qualità del lavoro, introdurre il salario minimo europeo, avere una fiscalità unica per evitare la concorrenza sleale e garantire maggiore equità tra cittadini».